sabato 31 maggio 2014

Torino: europa di cartone!!

Capisco che associare la città di Torino al cartone fa subito tornare alla mente lo scandalo di calciopoli e gli scudetti vinti dalla Juventus e assegnati poi dalla giustizia sportiva all'Inter e chiamati per questo motivo di "cartone" ma in questi giorni è venuto fuori un altro scandalo. Scandalo inteso nella sua accezione più pura come un avvenimento che causa un turbamento della sensibilità morale pubblica. Prima di tutto i fatti sportivi: nelle ultime giornate del campionato il Parma e il Torino si sono sfidati per l'ultimo posto disponibile per l'Europa League e, come solo nelle migliori sceneggiature succede, alla penultima partita si sono sfidate nello scontro diretto con il Torino che in vantaggio di un punto in classifica. Nel secondo tempo, con i granata in vantaggio di una rete, c'è un rigore per il Parma; Cassano dal dischetto sbaglia ma sulla ribattuta Biabany realizza il gol del definitivo pareggio rimandando tutto all'ultima giornata. Come da pronostico il Parma vince 2-0 su un già retrocesso Livorno mentre il Torino a Firenze al novantesimo sta pareggiando 2-2; in pieno recupero viene assegnato un rigore ai granata, il rigore che potrebbe significare Europa League ma dal dischetto, come sette giorni prima Cassano, anche Cerci sbaglia senza che però questa volta ci sia qualcuno pronto a ribadire in porta la respinta. Il verdetto del campo dice che il Parma supera in classifica il Torino e accede all'Europa League.


Ci pensa però la giustizia sportiva a ribaltare tutto con una sentenza che esclude gli emiliani dalle competizioni europee. Anche qui prima i fatti: molte società per invogliare giocatori non più utili alla causa ad andare via offrono loro degli incentivi. Il Parma non ha versato parte di questi incentivi, pari a meno di trecentomila euro, entro la scadenza del 30 aprile. La giustizia sportiva ha perciò applicato la sanzione prevista che comporta in questi casi l'esclusione dalle competizioni europee dando così via libera al Torino. 
Il presidente Ghirardi ha affermato di essere convinto che la scadenza fosse il 30 giungo, di essere indignato di una pena tanto severa e di voler cedere la società e lasciare il mondo del calcio qualora il Tas di Losanna non gli desse ragione.


Dopo i fatti veniamo alle opinioni: ritengo innanzitutto giusto rispettare le decisioni prese dagli organi preposti ma ritengo altrettanto giusto rivedere la norma per allineare la pena alla gravità della colpa. In molte situazioni esiste l'istituto giuridico del ravvedimento operoso mediante il quale il contribuente può spontaneamente regolarizzare errori o illeciti fiscali versando il tributo non pagato più una sanzione e gli interessi; questo al Parma non è concesso. Vorrei però dire che la rabbia del presidente Ghirardi anche se comprensibile non può tramutarsi in capriccio o ricatto con la possibilità che ci vadano di mezzo i tifosi del Parma che con la sua partenza perderebbero un presidente che in questi sette anni ha fatto molto e bene.
Aggiungo solo che esiste già un precedente non positivo per il Parma dello scorso anno dove il Tas rigettò l'appello del Malaga per motivi simili e in europa andò il Siviglia che poi ha vinto addirittura la coppa. I tifosi granata sono autorizzati a qualunque tipo di scongiuro!


venerdì 30 maggio 2014

Un altro pezzo d'Italia agli americani

La crisi economica che sta colpendo il nostro paese non risparmia proprio nessuno e non credo che in questi casi valga il detto "mal comune mezzo gaudio". Anche il ricchissimo mondo del pallone è finito nel vortice dal quale ancora non sappiamo come uscire. Investitori stranieri hanno già messo le mani sulla nostre società sportive. La Roma è degli americani ormai dal 2011, l'Inter è da pochi mesi nelle mani dell'indonesiano Tohir e non è un mistero che il Milan stia cercando capitali stranieri anche se l'intenzione sembra quella di non vendere la maggioranza delle quote societarie.
Da qualche giorno a questo elenco si è aggiunto il Cagliari dell'ex presidente Massimo Cellino che si è dichiarato felice della conclusione della trattativa con la cordata Usa guidata da Luca Silvestrone; dopo 22 anni di gestione, l'istrionico imprenditore sardo, al termine di una riunione tenutasi a Miami e conclusasi con l'accordo economico che prevede il versamento nelle sue casse di ben 80 milioni di euro  ha dichiarato: "Dio li benedica, ora saranno loro a lottare con la burocrazia". Non ci sono ancora le firme sui contratti ma la foto con la stretta di mano tra le due parti è già stata scattata.



Cellino era ormai esasperato dai problemi avuti con la questione dello stadio e il fatto che la sua voglia di calcio non sia finita è dimostrato dall'acquisto di qualche settimana fa della società inglese del Leeds United. Ancora una volta quindi pezzi d'Italia finiscono in mano agli stranieri ma, a differenza di altri paesi dove sono gli arabi o i russi a farla da padroni, da noi investono prevalentemente gli americani.

giovedì 29 maggio 2014

La vera storia di CR7 e di Hugo

Qualche giorno fa ho dedicato un post alla storia di CR7 e del suo amico Albert  Fantrau (http://calciodna.blogspot.it/2014/05/cr7-e-lamico-albert.html) credendo erroneamente che il tifoso abbracciato dall'attuale pallone d’oro subito dopo la vittoria della Champions fosse appunto un amico. Non per discolparmi ma non sono stato l’unico ad essere stato tratto in inganno e la storia che ho raccontato è comunque vera e simboleggia la generosità del portoghese che, con il crescere della notorietà, entra sempre più nei giornali non solo per vicende sportive. L’altro giorno si è per esempio reso protagonista di un’altra storia strappalacrime secondo la quale, lasciatemi usare il condizionale, avrebbe pagato le spese per l’operazione di una piccola bambina malata.



Vi sono però debitore di una risposta; la domanda era: chi sarà mai quel fortunato supporter? Sono quasi certo di avere la soluzione anzi potrei dire che ne sono certo visto che le foto combaciano: Cristiano Ronaldo ha abbracciato suo fratello Hugo. Come in ogni giallo che si rispetti, la fine non è così semplice, non basta sapere chi ma anche perché. Ebbene CR7 e il fratello maggiore avevano stretto un patto secondo il quale se il primo avesse alzato la coppa, l’altro avrebbe smesso di bere. Hugo ha infatti problemi con l’alcol, esattamente come il padre morto nel 2005 e, avendo Cristiano vinto la Champions, ora tocca al fratello vincere la sua battaglia.

mercoledì 28 maggio 2014

Giocatori a metà: FIGC contro Lega

In Italia siamo soliti avere leggi e norme particolari che nessun altro stato ha; il calcio non fa eccezione. È infatti possibile nel nostro paese che due società distinte detengano i diritti sportivi di un solo giocatore come accade ad esempio, per restare nell'attualità, con Cuadrado, a metà tra Udinese e Fiorentina, Candreva, a metà tra Lazio e la stessa Udinese e soprattutto il capocannoniere della serie a Ciro Immobile, in comproprietà tra Juventus e Torino. Nessun’altra federazione calcistica prevede questa possibilità; di contro esistono norme presenti quasi ovunque ma non in vigore nella nostra penisola. Mi riferisco ad esempio all'obbligo di riscatto in un prestito e alla clausola del controriscatto. Nell'ultimo consiglio di Lega di qualche settimana fa era appunto all'ordine del giorno l’abolizione della norma sulle comproprietà con la possibilità di risolvere quelle in essere entro due anni, ma non si era trovato un accordo tra i presidenti e l’adeguamento normativo sembrava sfumato. Ieri invece il consiglio federale della FIGC, andando contro le decisioni prese dalla Lega, ha abrogato le comproprietà o, per essere più tecnici, le compartecipazioni tra due squadre nella proprietà del cartellino di un giocatore, fissando inoltre il termine per la risoluzione di quelle già sottoscritte ad un solo anno, creando così, non pochi problemi ai club che dovranno obbligatoriamente adeguarsi. Secondo il procuratore Antonio Caliendo il provvedimento serve a ripulire i bilanci delle società e renderli più reali.



A mio avviso il risultato sarà che i giovani andranno in prestito invece che in comproprietà che, a conti fatti, era più vantaggiosa per le cosiddette medio-piccole le quali, rivalutando o mettendo in luce il giocatore, potevano poi ricavare un introito per la propria metà del cartellino e che invece ora saranno meno invogliate ad avere giocatori non da loro tesserati. Inoltre non ci sarà più motivo, in caso di prestiti, per preferire il mercato nostrano a quello di importazione che verrà così ulteriormente rafforzato. Solo il tempo ci dirà se questa abolizione è stata un bene per il calcio italiano ma intanto è servita ad allinearci con il resto del mondo.

martedì 27 maggio 2014

CR7 e l'amico Albert

Minuto 120 della finale di Champions League, l'arbitro olandese Kuipers fischia la fine delle ostilità, il Real Madrid vince 4-1 dopo che i tempi regolamentari erano finiti 1-1; l'uomo simbolo dei "blancos", fresco pallone d'oro, portoghese di nascita, vince la sua prima Champions proprio in terra lusitana siglando su rigore il quarto gol del Real, il diciassettesimo della competizione in 993 minuti giocati, quasi un record. Parlo ovviamente di Cristiano Ronaldo che, mentre i suoi compagni festeggiano, si avvicina agli spalti e abbraccia vigorosamente un tifoso dopo averlo aiutato a scendere in campo; chi sarà mai questo fortunato supporter? La risposta ce la offre proprio CR7, dichiarando poco dopo: "Devo ringraziare il mio vecchio amico Albert Fantrau per il mio successo. Giocavamo nella stessa squadra dell’under 18 nel campionato portoghese. Quando l’allenatore dello Sporting Lisbona venne a vederci, disse: “Chi segnerà più gol verrà nella nostra squadra. Vincemmo la partita 3-0. Io segnai il primo gol e il secondo lo segnò Albert Fantrau grazie a un grande colpo di testa. Ma il terzo fece rimanere tutti a bocca aperta. Albert era 1 contro 1 davanti al portiere, lui lo ha dribblato ed io mi trovavo proprio davanti a lui. Tutto quello che doveva fare era metterla in rete e invece l’ha passata a me ed ho segnato una doppietta. Andai così nello Sporting Lisbona. Dopo la partita gli ho chiesto: “Perché l’hai fatto?” e lui mi disse: “Sei più forte di me”.


I due sono adesso inseparabili amici e la storia è stata confermata diverso tempo fa ad un giornalista dallo stesso Fantrau che dopo aver smesso con il calcio per gli scarsi risultati è tuttora disoccupato ma vive in una bellissima casa con la sua famiglia facendo una vita agiata grazie proprio alla generosità del suo amico Cristiano Ronaldo.


Questa storia, forse un po’ romanzata, sembra stridere con la visione del calcio come sport dove contano solo i soldi e dove i giocatori vengono visti come dei ragazzini viziati, ma a me piace credere alle favole e quindi ho deciso di raccontarvela.

lunedì 26 maggio 2014

Le meringhe battono i materassai...

Come tutti saprete sabato sera il Real Madrid ha vinto la sua decima Coppa dei Campioni battendo l’Atletico Madrid del Cholo Simeone riuscendo a siglare il gol del pareggio che ha poi portato ai tempi supplementari solo in pieno recupero, al minuto 93. Sarò probabilmente l’unico, ma da italiano sono contento perché facevo il tifo per quel poco di Italia presente in questa finale dove siamo stati rappresentati da Carletto Ancelotti, uno degli allenatori più vincenti in Europa ma non amato da moltissimi tifosi compresi quelli juventini che lo hanno avuto come allenatore per due stagioni. Significativo il coro dedicatogli più volte che recita testualmente “un maiale non può allenare”; ebbene il “maiale” è riuscito, al primo colpo, dove avevano fallito anche i più grandi, compreso lo “Special One” Mourinho. Dopo ben 12 anni il Real è tornato a vincere la massima competizione europea e gran parte del merito viene dato dai giocatori ma anche dalla stampa spagnola all’allenatore italiano che è stato in grado di rendere squadra un gruppo di fuoriclasse che, fino ad oggi, avevano mostrano grandi doti personali ma che non riuscivano a coesistere e remare nella stessa direzione.


Nel primo derby della storia che assegnava un trofeo così importante le “merengues” hanno battuto i “colchoneros”; letteralmente le meringhe hanno battuto i materassai. Se è facilmente comprensibile che il soprannome “meringhe” sia dovuto al colore bianco della maglia del Real più complessa è l’associazione tra l’Atletico e i “materassai” anche se la protagonista è sempre la maglia; dopo alcuni anni in bianco e blu, i giocatori dell’Atletico adottarono, nel 1912, la divisa biancorossa perché erano colori più economici in quanto ricavabili dalle tele che rivestivano i materassi.



Vorrei concludere questo post facendo i complimenti a Simeone e ai suoi ragazzi che hanno vinto il campionato spagnolo, il decimo dopo un digiuno di 18 anni, e sono riusciti ad arrivare per la seconda volta nella storia in finale di Champions. La gratitudine dei tifosi è stata evidente negli applausi e nei cori del dopo sconfitta; un unico muro di sciarpe biancorosse che in questi tempi bui riconciliano con questo sport.

venerdì 23 maggio 2014

Povero diavolo che pena mi fai!

“Povero diavolo, che pena mi fai” cantava Cocciante e senza dubbio non si riferiva al Milan, ma oggi più che mai la società rossonera si trova ad affrontare una crisi che si potrebbe definire strutturale in quanto colpisce tutto il Milan, dai giocatori all’allenatore fino alla dirigenza stessa. Non è un mistero che le vicissitudini del presidente, oltre ad una crisi generalizzata del calcio nostrano, abbiano indotto a vendere i pezzi pregiati e a ridurre drasticamente il monte ingaggi; tutto questo ha portato a risultati sportivi deludenti culminati nel campionato appena terminato con la mancata qualificazione europea. Ciò che però sorprende è quella che sembra una totale mancanza di organizzazione che era invece il fiore all’occhiello della società rossonera. Le lotte intestine e anche mediatiche tra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani hanno destabilizzato l’ambiente portando di fatto i tesserati a non riconoscere più un “potere forte” nelle mani di qualcuno. Difficilmente negli altri anni della gestione Berlusconi parole e fatti uscivano dallo spogliatoio o da Milanello, mentre adesso, giornalmente, si parla ora di liti, ora di scazzottate, ora di cessioni azionarie. È notizia di pochi giorni fa che sul pullman che portava la squadra all'inaugurazione della nuova sede siano volate parole grosse e anche qualche schiaffo tra il portiere Marco Amelia e il difensore Daniele Bonera, per motivi apparentemente futili legati alla mancata voglia di qualcuno di rilasciare autografi ai tifosi. Ma non è tutto: ieri, nella presentazione della sua autobiografia, Gianluca Zambrotta ha accusato Allegri di aver fatto perdere lo scudetto 2012 ai rossoneri per una “gestione sbagliata del gruppo” e ha raccontato un episodio nel quale l'allenatore stesso e Ibrahimovic sarebbero venuti alle mani. 


Sicuramente anche la questione allenatore non aiuta; aver scelto Clarence Seedorf pochi mesi fa si è rivelata una scelta infelice e ne sono tutti consapevoli ma, sia perché prendendo un nuovo mister si dovrebbero pagare due stipendi, sia perché a pochi giorni dalle elezioni europee non si vuole fare niente di affrettato, la società non comunica una decisione che sembra già presa dando un’idea sempre maggiore di instabilità. Mi auguro per i tifosi rossoneri che in breve si risolvano i conflitti societari, si scelga l’allenatore migliore per gestire uno spogliatoio così agitato e che il “Povero Diavolo” torni ad essere il Grande Milan.

mercoledì 21 maggio 2014

La Bari ad un pregiudicato!

Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari. Questo detto simboleggia la bellezza e la straordinarietà del capoluogo pugliese la cui squadra di calcio ha disputato 30 stagioni in serie A senza mai arrivare più in alto del settimo posto, ma vincendo nel 1990 una Mitropa Cup. Il 10 marzo scorso, dopo quasi 37 anni di gestione Matarrese, il Bari calcio o, come la chiamano in molti, la Bari è fallita; dopo le prime due aste andate deserte ieri finalmente tra quattro partecipanti l'ha spuntata per 4,8 milioni di euro il barese nonché ex arbitro Gianluca Paparesta. Il fischietto pugliese, figlio d'arte, ha collezionato 135 partite in serie A ottenendo anche la qualifica di internazionale ed ha concluso la sua carriera per i noti fatti di Calciopoli. Nel 2006 infatti viene coinvolto nello scandalo per i suoi contatti con la dirigenza juventina e in particolare con Luciano Moggi e, dopo alcune intercettazioni in cui quest'ultimo si vantava di averlo chiuso nello spogliatoio di Reggio Calabria al termine di una partita per cui fu accusato di omessa denuncia, al termine del processo sportivo viene inibito per tre mesi; dopo alterne vicende nel 2008 di fronte alla commissione disciplinare decide di patteggiare una sanzione di due mesi. Dopo una breve parentesi in politica, Paparesta è entrato nella squadra degli opinionisti di Mediaset e, secondo gli esperti di gossip, avrebbe una relazione con la conduttrice di Premium Calcio.





Non sono così ingenuo da pensare che un ex arbitro possa permettersi di comprare una società di calcio e sono quindi certo che rappresenti solo la facciata di una cordata che mi auguro per i tifosi biancorossi abbia intenzioni serie visto l'amore e l'attaccamento alla maglia dimostrato dai baresi che. nonostante le ultime vicissitudini. continuano a far registrare migliaia di presenze al San Nicola con numeri quasi da record per la serie cadetta. Dicevo quindi che Paparesta è solo l'amministratore, la figura di riferimento, ma proprio per questo rappresenta le persone alle sue spalle e, senza voler entrare troppo nel merito, non mi sembra la scelta migliore quella di farsi rappresentare da un pregiudicato.

martedì 20 maggio 2014

Questione di feeling...

Questione di feeling cantavano Mina e Cocciante nel 1985 in un duetto storico per la musica italiana. Questione di feeling è anche quella tra un allenatore e la dirigenza, la squadra ma anche la tifoseria. A volte però il feeling si esaurisce o addirittura la scintilla non scatta mai; è questo il caso di Mazzarri, uno che non brilla certo per la simpatia, che non riesce proprio a farsi amare da una tifoseria ammettiamolo non proprio facile come quella interista. Come allenatore è difficile discutere Mazzarri: ha portato il Livorno in serie a, ha conquistato tre salvezze di fila con la Reggina anche nell’anno della penalizzazione (11 punti), ha conquistato con la Sampdoria l’accesso alla Coppa Uefa e ha portato il Napoli in Europa tre anni di fila di cui due in Champions grazie anche ad un secondo posto, oltre ad aver vinto la Coppa Italia. Sono però altrettanto evidenti i difetti dell’allenatore toscano: non ama i giovani e di conseguenza non riesce a valorizzarli, è troppo rigido nel voler applicare sempre e comunque la difesa a 3 e usa sempre una rosa ristretta di giocatori al punto che dopo qualche partita sai già che farà tre sostituzioni nel secondo tempo, ma sai anche chi entrerà e probabilmente anche a che minuto. Se, a tutto questo, si aggiunge che predilige un gioco di rimessa e che ha un comportamento da “piangina” o “lamentino” che irrita i tifosi avversari e molto spesso anche i propri si capisce per quale motivo venga sempre accolto nelle “grandi” squadre con un po’ di scetticismo. A Napoli, nonostante i risultati, la maggior parte dei tifosi non lo rimpiangono ma sarebbe ingiusto dire che non si sia guadagnato i gradi di allenatore “top”.


Per quanto concerne l’Inter, personalmente la ritengo una delle poche squadre con una tifoseria in grado di bruciare giocatori e allenatori dopo una sola partita. Il tifoso interista è giustamente esigente ma non ha pazienza e, spesso, fischia i propri giocatori che quindi paradossalmente ricevono più critiche a San Siro che in altri stadi - e non mi riferisco a Gresko che sarebbe stato fischiato anche giocando nel giardino di casa sua.
Mazzarri quindi non è stato mai amato dai suoi attuali tifosi e ha vissuto un’annata difficile anche a causa del cambio di proprietà, ma è riuscito nell’obiettivo minimo di riportare i nerazzurri in Europa. C’è stato però un episodio che ha, a detta di molti, incrinato definitivamente il rapporto ed è stato quando, durante il derby di qualche settimana fa, l’ultimo che avrebbe potuto giocare Zanetti prima del ritiro, l’allenatore non l’ha messo in campo nemmeno per pochi minuti suscitando le ire dei tifosi che l’hanno giudicata una mancanza di rispetto nei confronti della storia interista. Personalmente capisco che Mazzarri, dovendo ancora conquistare il quinto posto ed essendo in svantaggio, abbia creduto di poter ribaltare il risultato con un cambio diverso e che l’aver alla fine perso la partita abbia aumentato la rabbia dei tifosi ma ritengo l’episodio solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai colmo da tempo.
In tutto questo, sembra che la dirigenza voglia confermare per un’altra stagione il tecnico ma tutti i tifosi sperano che questo non avvenga perché quel famoso feeling di cui cantavano Mina e Cocciante non c’è e forse non ci potrà mai essere.

giovedì 15 maggio 2014

Benfica perde 8-0: la maledizione di Guttmann!

E' da pochi minuti finita la finale dell'Europa League che vedeva sfidarsi allo Juventus Stadium di Torino Benfica e Siviglia, Portogallo contro Spagna. Dopo 120 minuti più recupero le porte restano inviolate e si va ai calci di rigore. Saprete già chi ha vinto ma vorrei fare un gioco; provate a capirlo da qualche indizio.
Il primo indizio riguarda il Siviglia che ha vinto nella sua storia due Coppe Uefa consecutive nel biennio 2005-2007, che non ha mai perso una finale europea e che ha vinto l'ultima proprio ai rigori.
Il secondo indizio riguarda il Benfica che ha disputato 7 finali di Coppa dei Campioni vincendone solo due e 2 finali di Coppa Uefa perdendole entrambe.
Con questi semplici indizi avreste sicuramente scommesso, prima che si tirassero i calci di rigore, sul Siviglia e avreste vinto; in questa competizione la squadra spagnola ha vinto la sua terza finale su tre disputate e quella portoghese ha perso la sua terza finale su tre disputate.
Ma si può parlare solo di sfortuna per il Benfica o c'è di più? Vi racconto una storia, forse un pò romanzata ma neanche troppo: siamo nel 1962, a maggio per la precisione, e il Benfica di Eusebio, uno dei più grandi attaccanti portoghesi di sempre, stravince la sua seconda Coppa dei Campioni di fila battendo con un netto 5-3 il Real Madrid di Di Stefano che si era portato in vantaggio di due gol. L'allora allenatore della squadra di Lisbona, potendo contare su un doppio trionfo europeo e su altrettanti campionati, si reca dal suo presidente chiedendo un adeguamento dell'ingaggio. Il presidente glielo nega, scatenando le ire dell'ungherese Guttmann che si licenzia e scaglia contro la società una maledizione: " da qui a 100 anni il Benfica non vincerà più una Coppa dei Campioni".


L'anno successivo con il nuovo tecnico Riera la squadra arriva in finale ma perde con il Milan; passano due anni e, nel 1965, è l'Inter di Herrera a battere il Benfica sempre in finale. Il 29 maggio del 1968 tocca poi al Manchester United battere in finale i portoghesi per 4-1, ma non è finita. Vent'anni dopo ancora una finale persa, questa volta ai rigori contro gli olandesi del PSV e, due anni dopo, è ancora il Milan a portare avanti la maledizione di Guttmann che ha portato la squadra di Lisbona a perdere cinque finali su cinque della maggiore competizione europea. Volendo però estendere il discorso anche alla Coppa Uefa, le finali perse diventano ben 7; nel 1983 è l'Anderlecht a battere il Benfica nella doppia finale e l'anno scorso ci ha pensato il Chelsea. I tifosi lusitani pensavano, dopo 52 anni che la maledizione fosse finita e invece con la sconfitta ai rigori di questa sera potremmo dire che Guttmann batte Benfica 8-0.
Io non credo alle maledizioni ma se fossi un tifoso delle Aquile di Lisbona forse comincerei a crederci!

martedì 13 maggio 2014

La credibilità del codice etico

L'etica, letteralmente tradotta dal greco come comportamento o consuetudine, può essere definita come quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani buoni, giusti o moralmente leciti rispetto a quelli cattivi o moralmente inappropriati; il codice etico definisce quindi l'insieme dei principi di condotta che rispecchia criteri di adeguatezza e opportunità in un determinato contesto. Fin qui tutto chiaro, forse un po' complesso ma chiaro. I problemi nascono quando i fondamenti oggettivi vengono giudicati in maniera soggettiva; è il caso del nostro commissario tecnico, Cesare Prandelli, che da qualche anno ha deciso di introdurre per la nazionale un codice etico, cioè di comportamento sia dentro che fuori dal campo, dal quale dipende la convocazione in nazionale. Il problema sta nel fatto che, non essendo chiari nè scritti i criteri, ed essendo Prandelli il giudice, decide lui se applicarlo o meno alimentando ogni volta discussioni infinite; forse se lo avesse introdotto senza renderlo pubblico le cose sarebbero diverse ma la storia non prevede nè se nè ma. 
Il caso di questi giorni è quello di Giorgio Chiellini, squalificato per tre giornate dopo Roma Juventus per una gomitata a Pjanic non ravvisata dall'arbitro ma punita dal giudice sportivo e convocato per il Brasile alla faccia del codice etico. Già due anni fa, l'esclusione di Criscito dagli europei aveva fatto parecchio discutere, specialmente in relazione alla convocazione di Bonucci, coinvolto in una situazione analoga. Non più di un mese fa Prandelli aveva dichiarato: "il codice etico sarà in vigore anche nell'ultimo mese, sono stanco di certi atteggiamenti, chi sbaglierà vorrà dire che non sa reggere la pressione di un mondiale. Non si può prevaricare l'avversario con gomitate e cazzotti."


Ammettiamolo, i nostri giocatori non sono degli stinchi di santo, e ad ogni convocazione c'è sempre qualcuno che si distingue per comportamenti eticamente inaccettabili eppure, il ct riesce sempre a sorprendere. Onestamente io non sono sorpreso perchè nelle sue decisioni trovo una linea chiara, discutibile ma chiara: se la convocazione è per una amichevole il codice vale per tutti, se è per una partita importante dipende dalla gravità del fatto, se è per i mondiali dipende dal giocatore. 
Io stesso, lo ammetto, non avrei saputo rinunciare a Chiellini ma avrei saputo così di rinunciare alla mia coerenza e forse anche alla mia credibilità. 

domenica 11 maggio 2014

L'ultima bandiera del calcio che ci piace

Il 10 maggio 2014 anche la matematica qualificazione all'Europa League, ottenuta battendo a San Siro per 4-1 la Lazio, passa in secondo piano; la cosa più importante accade dopo il triplice fischio dell'arbitro Massa. Una celebrazione in grande stile per il saluto a una delle ultime bandiere del nostro calcio: Javier Zanetti che ha legato indissolubilmente la sua carriera professionale all'Inter, rappresentandone i valori e segnandone la storia. La sua maglia numero 4 sarà probabilmente ritirata come accade solo per i grandissimi.
C'erano tutti ieri, c'era il presidente Tohir, l'ex presidente Moratti con i figli, tutte le alte cariche societarie ma c'erano soprattutto loro, i tifosi che hanno tributato al proprio eroe ovazioni, cori, striscioni e applausi che solo un vero campione come lui merita e che, permettetemi di dirlo, sono state a suo tempo negate, sulla sponda opposta di Milano, a Paolo Maldini. Una vera e propria festa per l'ultima partita a San Siro del "Capitano" per antonomasia; molto probabilmente lo è stata anche per altri argentini, uno su tutti Milito, che hanno contribuito ai recenti successi dei nerazzurri, ma come ho già detto tutto passa in secondo piano di fronte ad un giocatore che in 19 anni ha collezionato 857 presenze, un atleta che a 40 anni sembra un ragazzino e che se non fosse stato per il brutto infortunio dello scorso anno avrebbe avuto ancora qualcosa da dare, un uomo che con la sua fondazione P.U.P.I. aiuta i bambini poveri e disagiati.


Si capisce che la serata è la sua serata quando i giocatori dell'Inter fanno riscaldamento con il suo numero, quando i marcatori gli dedicano i gol ma soprattutto quando al minuto 52 migliaia di flash impazziti immortalano il suo ingresso in campo...brividi.
Tutti gli amanti di calcio da oggi sentiranno un piccolo vuoto perchè un giocatore come Zanetti, sempre corretto e leale, viene rispettato e onorato anche dagli avversari ma il tifoso interista perde quasi un pezzo di sè, il capitano che ha alzato al cielo la Champions League dopo un digiuno di 45 anni, l'atleta che lo ha fattio sognare con le sue sgroppate di decine dimetri, quasi slalom con gli avversari come paletti, l'uomo che ha sempre difeso la società anche nei momenti difficili comportandosi come un capitano di altri tempi.


Vederlo fare il giro del campo con moglie e figli al seguito e vederlo piangere riconcilia poi col calcio dopo le vicende degli ultimi giorni. Per lui, ci sarà un futuro da dirigente per poter continuare a trasmettere i valori societari, ma non vederlo più calcare il terreno di gioco sarà triste; con lui se ne va un pezzo del calcio che ci piace.

giovedì 8 maggio 2014

C'era una volta...Caressa

C’era una volta Nando Martellini, telecronista dell’Italia campione del mondo in Spagna nel 1982, con il suo indimenticabile “Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo”, ripetuto tre volte per festeggiare il terzo titolo.
C’era una volta Bruno Pizzul, telecronista tra le altre dell’Italia vice campione del mondo nel 1994, con i suoi inconfondibili “RRRoberto Baggio” e “cambia giUoco”, mandato in pensione dalla Rai nel 2002 e rispolverato recentissimamente dalla Fiat che lo usa come testimonial insieme a Trapattoni in una pubblicità a dir poco agghiacciante e non solo per la camicia hawaiana del Trap.
C’era poi una volta Fabio Caressa, idolo indiscusso per quelli della mia generazione non solo perché telecronista per Sky dell’Italia campione del mondo in Germania nel 2006 o perché commentatore anche nel più importante gioco di calcio per console, ma soprattutto perché era in grado di raccontare la partita come nessuno mai aveva fatto prima. La sua attenzione per i particolari, la sua preparazione maniacale, le sue informazioni su tutto e su tutti, il suo saper interpretare alla perfezione gesti o mezze parole di calciatori e allenatori, il suo conoscere il regolamento a memoria anche forse più di un arbitro, lo hanno reso per anni il re indiscusso delle telecronache al punto che qualcuno, io per primo, preferiva vedere le partite della nazionale sul satellite anche se il segnale arrivava qualche secondo in ritardo e l’esultanza dei vicini poteva rovinare la sorpresa.



Ho usato l’espressione c’era una volta non perché sia morto o in pensione, ma semplicemente perché non lo riconosco più; dopo il mondiale 2006 ha cominciato a non essere più lui e, anche se rimane ancora spanne sopra i commentatori della tv generalista, si sente una grande differenza. Come un bambino mi sento deluso e non capisco cosa sia successo. I maligni dicono si sia montato la testa ma io non voglio crederci e vorrei trovare una spiegazione; da circa un anno è diventato condirettore di Sky Sport e commenta solo pochissime partite ma anche quelle poche creano in me un senso di tristezza, quasi di abbandono e il vederlo fare pubblicità con la moglie non migliora certo le cose. L’ultima partita commentata è stata il derby di Milano la scorsa settimana ed è stato l’esempio lampante che il mio Caressa non c’è più: le telecamere inquadrano Frustaluppi, allenatore in seconda, che dà indicazioni a Guarin con di fianco Mazzarri e lui ci racconta che l’allenatore toscano sta prendendo appunti. Innanzitutto Mazzarri non prende mai appunti e poi come fai a non vedere che sta per entrare Guarin? Ma non è tutto: Balotelli tira da fuori area e la palla entra in porta dopo un nettissimo tocco di Pazzini in fuorigioco e lui solo dopo 10 replay se ne accorge nonostante lo “zio” Bergomi provi a fargli capire da subito che la deviazione c’è stata. Purtroppo c’è di peggio: nel secondo tempo riesce a dire che un lancio è stato fatto da Pirlo che è ormai alla Juventus da anni.
Starete pensando che sono crudele, che tutti i telecronisti commettono errori e vi posso dare ragione ma è proprio qui il punto; Caressa non è mai stato uno normale e come un bambino che scopre che il suo supereroe preferito è umano e ha debolezze io rimango doppiamente deluso.

Ridatemi il mio Caressa!

martedì 6 maggio 2014

Un, due, tre...stella!

Sembrano non avere fine gli strascichi lasciati dalla finale di coppa Italia di sabato scorso ma, non mi va di continuare a parlarne perchè tutti hanno già speso milioni di parole, molte delle quali poco utili. Vorrei quindi tornare a parlare di calcio giocato per celebrare la vittoria dello scudetto da parte della Juventus che sembra passata quasi inosservata per diversi motivi. Il primo riguarda proprio gli episodi di Roma, il secondo è legato al fatto che il titolo è stato vinto ancor prima di scendere in campo, vista la sconfitta della Roma a Catania, il terzo è che lo scudetto era ormai cucito sulle maglie bianconere da mesi e il quarto è che per i non juventini è meglio non parlarne perchè, da sempre, la "vecchia signora" è la squadra meno amata dagli altri tifosi. Vorrei provare ad analizzare proprio questo sentimento. Di sicuro, come ci insegna l'esperienza, l'invidia ci porta a denigrare ciò che non possiamo avere e di conseguenza a sminuire le vittorie altrui, come nella favola della volpe e l'uva e, in Italia, la Juventus ha vinto più di tutti ma, non c'è solo questo. Anche i singoli tesserati della società bianconera suscitano antipatia spesso anche grazie alle loro dichiarazioni arroganti come l'ultima del presidente Andrea Agnelli che, dopo essersi battuto in passato strenuamente per poter mettere la terza stella sulla maglietta, quando ancora non ne aveva il diritto, ora, che ne avrebbe la possibilità, rifiuta asserendo che metteranno la terza stella quando qualcuno arriverà alla seconda, come per rimarcare l'enorme divario tra il numero di scudetti vinti dalla sua squadra a confronto con le altre. Forse non tutti sanno che la stella d'oro sulla maglia, invenzione di Umberto Agnelli del 1958, simboleggia la vittoria di 10 scudetti e quindi ora la Juventus avrebbe il diritto di metterne tre ma come spiegato dal suo presidente non lo farà. Ricordo ancora la polemica di qualche anno fa quando, alla vittoria dello scudetto numero 28 che per gli juventini erano 30 ci fu un caso diplomatico finito con la Nike, sponsor tecnico dei bianconeri, costretta a coprire in fretta le tre stelle sulle maglie già prodotte.
Dicevamo di come il vincitore susciti antipatia e di come spesso, nel caso della Juve, l'orgoglio del vincitore sia strettamente connesso con la comprensibile superbia e con la meno comprensibile arroganza. Emblema lampante di questo ragionamento è sicuramente l'allenatore Antonio Conte. Personalmente stimo Conte come allenatore e gli riconosco i meriti di aver preso una squadra che veniva da due settimi posti e di aver, alla sua prima esperienza su una grande panchina, saputo modellare il materiale umano a sua disposizione in modo da renderlo vincente. Non gli furono comprati top player il primo anno e lui mostrò intelligenza capendo che, con gli uomini in rosa, era impensabile attuare il suo amato 4-2-4 e, solo come i grandi sanno fare, cambiò il proprio credo schierando la squadra con un 3-5-2 che gli ha permesso di vincere ben tre titoli consecutivi. I maligni obietteranno che vince per la pochezza degli avversari ma, vorrei ricordare che il primo scudetto di Conte fu vinto con una grande dimostrazione di forza in rimonta sul Milan di Allegri, Ibra e Thiago Silva; certo gli ultimi due campionati sono stati più "semplici" e l'ultimo quasi troppo facile con la sola Roma a rincorrere da lontano e con la possibilità concreta di sfondare l'incredibile muro dei 100 punti in classifica ma rimane il fatto che non è da tutti vincere tre scudetti di fila. Quindi Conte allenatore vincente ma anche allenatore antipatico, grintoso fino ai limiti della rabbia che diserta le conferenza stampa e quando ci va quasi spaventa i giornalisti che faticano a fargli domande.
Riassumendo: Juventus antipatica, il presidente Agnelli altezzoso e l'allenatore Conte arrogante ma sono i vincitori a fare la storia e quindi Onore ai Vincitori!


lunedì 5 maggio 2014

Il calcio e la bambina

Confesso che dopo essere tornato dallo stadio Olimpico di Roma dopo la finale di sabato sera e aver scritto il post sulla partita non ho voluto nè leggere nè vedere immagini di quanto era accaduto dentro e fuori lo stadio ma, poi, ieri ogni sito e ogni tg trattava giustamente l'argomento e mi sono fermato a guardare. Al di là delle sensazioni già descritte, ho provato un grandissimo senso di impotenza nei confronti della stupidità dell'essere umano. Mi è tornato alla mente che mentre andavo allo stadio sull'autobus ho incontrato uno sparuto gruppo di tifosi - preferisco non dire di quale squadra perchè la sostanza non cambia - che nel breve tragitto ha terrorizzato gli altri passeggeri. Urla, insulti, spintoni e un paio di loro hanno anche tirato fuori un coltello anche se, fortunatamente, solo per mostrarlo agli amici. Lì per lì non ho dato molto peso alla situazione perchè, non dico che sia la norma, ma non ero sorpreso, come non ero sorpreso del fatto che nessuno di loro avesse il biglietto e non parlo del biglietto dell'autobus, che già di per sè sarebbe grave, ma intendo il biglietto per entrare allo stadio. Questi personaggi - perchè tifosi non posso chiamarli - si erano presi la briga di arrivare fino a Roma armati e senza il biglietto di ingresso, sicuri di superare le barriere a loro dire presidiate solo da steward ragazzini.

Nel ricordare questo e altri episodi e nel vedere decine e decine di foto e filmati sapete cosa mi ha colpito di più? Quale immagine rimarrà indelebile nel mio cervello? In primo piano Renzi che parlotta con Malagò e subito dietro una bambina che, tremante e in lacrime, abbraccia la mamma. Probabilmente quella bambina era la figlia del Premier e, nonostante la scorta, nonostante fosse in tribuna d'onore quindi lontanissima dalle curve e dai fumogeni percepiva benissimo la situazione e ne era a dir poco terrorizzata. Ho pensato allora a tutti i bambini presenti allo stadio e mi sono chiesto che ricordo porteranno dentro di quella esperienza. Alcuni quella notte avranno avuto gli incubi, altri non vorranno più mettere piede allo stadio ma tutti avranno percepito quell'evento non come doveva essere cioè uno spettacolo, una festa, una celebrazione.
E allora torno al mio senso di impotenza e alla stupidità umana: come si può fermare tutto questo? La mia convinzione è che la stupidità di certi personaggi sia legata all'ignoranza e che quindi occorra una maggiore educazione allo sport e alla civiltà in generale. Purtroppo insegnare questi valori agli adulti è quasi impossibile e bisogna quindi concentrarsi proprio sui bambini ma, potrà mai quella bambina credere che una partita di calcio è solo una partita di calcio? Spero proprio di sì!








domenica 4 maggio 2014

Cronaca di una partita surreale

Cominciamo dall'aspetto sportivo, marginale in quest'occasione, ma alla fine si disputava pur sempre una partita di calcio. Il Napoli ha vinto la sua quinta coppa Italia battendo in finale la Fiorentina con un secco 3-1. Un risultato forse un po' bugiardo per quanto espresso in campo dalle due compagini che hanno dato vita ad un incontro calcisticamente non esaltante. Parte fortissimo la squadra azzurra che con due ottime azioni riesci in poco più di 20 minuti a portarsi sul due a zero grazie a due splendide reti realizzate da Lorenzo insigne, un giocatore che, fino a questo momento, aveva dimostrato le sue ottime doti di palleggiatore ma molto meno quelle di goleador. Dopo la seconda marcatura il Napoli si spegne e subisce dopo pochi minuti il gol di Vargas che accorcia le distanze e che rende ardua quella che sembrava fino a pochi istanti prima una passeggiata. Nel secondo tempo stesso copione da parte del Napoli che subisce le folate dei viola che sfiorano più volte il pareggio. Dopo le sostituzioni di uno stremato Hamsik e di Higuain, Inler pensa bene di farsi espellere stupidamente per somma di ammonizioni lasciando la sua squadra a lottare in inferiorità numerica. Arriva poi nel recupero il gol di Mertens che mette fine alla partita e alle sofferenze partenopee.
Questo, per quanto concerne il lato sportivo, è quanto accaduto ma molto c'è da dire su tutto ciò che ha reso il clima all'interno dello stadio surreale. Posso raccontarlo in quanto testimone oculare: dopo essere entrato allo stadio alle 18 30 circa inizia a circolare la voce in tribuna di un incidente. Si parla di un tifoso del Napoli morto, poi in fin di vita, poi in sala operatoria per una sparatoria. All'inizio sembra che a sparare sia stato un tifoso della Roma, poi un poliziotto, poi un tifoso della Fiorentina alla fine addirittura un tifoso del Napoli e mentre sto scrivendo non so ancora chi abbia sparato. Appare subito evidente sugli spalti che qualcosa sia successo; i tifosi del Napoli entrano lentamente nella curva a loro riservata e in un silenzio irreale rimuovono tutti gli striscioni. Poco dopo anche i tifosi della Fiorentina tolgono gli striscioni. Comincia ad apparire chiaro in tribuna che la partita potrebbe addirittura non disputarsi; le voci si susseguono e sul campo si vedono strani conciliaboli tra le forze dell'ordine il capitano del Napoli e le due dirigenze. Entrano in campo i capi ultrà delle squadre e dopo almeno altri 20 minuti, durante i quali i due presidenti sono andati sotto le rispettive curve, la partita può cominciare. 45 minuti dopo l'orario prefissato Alessandra Amoroso canta l'inno d'Italia tra i fischi di tutto lo stadio. La curva dei tifosi del Napoli che già da almeno un'ora era immobile ed in silenzio continua con il suo sciopero del tifo. Comincia così una partita surreale nella quale anche i tifosi della Fiorentina sembrano partecipare al silenzio come se le due tifoserie si fossero' accordate. Con la propria squadra sotto di due gol i supporter viola però cominciano timidamente a cantare e in alcune zone si percepiscono dei piccoli tafferugli tra fiorentini forse proprio per l'infrazione dell'accordo, sempre che di accordo si possa parlare. Dopo il gol di Vargas appare chiaro che la maggioranza della tifoseria della Fiorentina vuole supportare i propri giocatori; iniziano così anche sgradevoli cori che inneggiano al Vesuvio. La curva partenopea non tifa, non canta, non fa nessun rumore per tutti i 90 minuti ma ci pensano gli altri tifosi napoletani a rendere ancora più surreale la partita con una gigantesca e immotivata invasione di campo dopo il triplice fischio dell'arbitro Orsato che fa indignare i tifosi delle tribune che cominciano a fischiare. Nulla sembra potere la polizia contro l'orda di migliaia di persone che si tuffa sui giocatore cercando di spogliarli, che ruba le bandierine e cerca di togliere la rete della porta. Dopo altri 20 minuti necessari per sgombrare il campo al fine di poter effettuare la premiazione, il Napoli riesce ad alzare al cielo la sua quinta coppa Italia mentre i tifosi azzurri in curva a questo punto non solo non tifano ma sono anche di spalle. 
Se questo è calcio comincia a non piacermi più!


venerdì 2 maggio 2014

Juventino per un giorno

Esistono, a mio avviso, due tipi di tifosi: quelli che tifano per la propria squadra e quelli che tifano contro le altre. Qualcuno potrebbe chiedersi che differenza c’è ma, io, ne vedo molta. Ovviamente un tifoso del Milan, durante il derby, tiferà per la sua squadra e di conseguenza contro l’Inter ma, la maggior parte dei tifosi di qualunque squadra, tifano contro le rivali anche quando non giocano contro la propria. Restando nell’esempio del Milan, i tifosi milanisti gioiscono quando l’Inter perde a prescindere da quale sia l’avversario di turno: questo è quello che io chiamo tifare contro. Esistono poi anche due modi diversi di tifare contro: quando la propria squadra ne trae vantaggio e quando la propria squadra non ne trae vantaggio o addirittura risulta svantaggiata. Provo a spiegarmi meglio. Se due squadre sono in lotta per non retrocedere è ovvio che il tifoso di una squadra oltre a fare il tifo per la propria spera che l’altra perda in modo che sia quest’ultima a retrocedere. Ma quando la mia squadra non trae alcun vantaggio dalla sconfitta di un’altra che senso ha tifare contro? Già questo per me è abbastanza strano; posso capirlo ma non certo condividerlo. Eppure non è ancora finita, c’è di peggio. Negli ultimi anni abbiamo assistito diverse volte a tifosi che pur di non avvantaggiare l’acerrima rivale sono disposti anche a tifare contro la propria squadra; ad esempio i tifosi della Lazio qualche campionato fa durante la partita contro l’Inter, hanno tifato a favore di quest’ultima e di conseguenza contro la propria squadra perché così i rivali della Roma non avrebbero vinto lo scudetto. Questo mi risulta quasi incomprensibile. Secondo me, però, esiste di peggio.
Sono stato abituato fin da piccolo a provare una sorta di orgoglio nazionale che mi spinge, durante le competizioni europee, a tifare sempre per le squadre italiane e a cercare sempre un po’ di Italia. Sono infatti orgoglioso che nella prossima finale di Champions ci sia un italiano ad allenare una delle due squadre e farò certamente il tifo per lui. Lungi da me l’idea che tutti debbano pensarla come me ma, dove non arriva lo spirito patriottico, pensavo arrivassero gli interessi personali e invece, ancora una volta, sono rimasto basito. Come si può, nella semifinale di Europa League tra Juventus e Benfica, tifare per il Benfica sapendo che questo ci farà perdere una posizione nel ranking UEFA e che quindi nei prossimi anni la terza in classifica della serie a non potrà neanche più disputare i preliminari di Champions League? Se la mia squadra del cuore dovesse, pur arrivando terza, disputare solo l’Europa League come potrò essere contento del risultato di ieri sera? Non mi piace giudicare nessuno e rispetterò sempre ogni tifoso ma, caro amico, quando poi ti lamenterai perché la tua squadra non avrà soldi per la campagna acquisti non essendo arrivata nell’Europa che conta spero che ti ricorderai di quando hai esultato per l’eliminazione della Juventus.

Leggendo i commenti post partita sui social mi sorge spontanea una domanda: sono l’unico a pensarla così?


giovedì 1 maggio 2014

Meglio la prima volta o la decima?

Prima o poi doveva succedere che nella finale della più importante competizione per club europea ci fosse un derby. Ebbene sì, dal 1955 mai si era verificato che si sfidassero in finale di Coppa dei Campioni ora chiamata Champions League due squadre della stessa città; l'evento era talmente improbabile che si è cominciato a chiamare derby le sfide tra squadre della stessa nazione, partite che però non hanno la stessa intensità e fascino di una stracittadina. Derby nazionali ce ne sono stati molti, ultimo dei quali proprio lo scorso anno con la sfida tra il Bayern campione e il Borussia; in finale ci sono stati anche derby italiani come nella stagione 2002-2003 dove all' Old Trafford di Manchester si sono sfidate la Juventus e il Milan vincente poi ai calci di rigore. Ma, a livello di stracittadine, si ricordano solo quarti di finale ed una storica semifinale che, sempre nella stagione 2002-2003, ha visto sfidarsi l'Inter e il Milan che ha passato il turno grazie alla regola dei gol realizzati in trasferta.



Quindi prepariamoci ad assistere, sabato 24 maggio, ad una partita storica tra le due maggiori squadre di Madrid. Storica per diversi motivi: sfida tra il calcio fisico dell'Atletico e quello più tecnico del Real, sfida tra due squadre con fatturati e portafogli diametralmente opposti, sfida tra due tifoserie tra le più calde d'Europa, sfida tra una squadra che non ha mai vinto la Champions e l'altra alla ricerca dell'altrettanto storica "decima". Nella stagione 2001-2002 il Real ha vinto infatti la sua nona e ultima Champions battendo in finale per 2 a 1 a Glasgow il Bayer Leverkusen; da quella sera ha cercato invano per oltre dieci anni di raggiungere la vittoria numero 10 e ora, finalmente, ha la possibilità di riuscirci anche grazie ad un po' di Italia: l'allenatore Carlo Ancelotti infatti è riuscito dove aveva fallito anche lo special one Mourinho. Non dimentichiamo poi che le due squadre si stanno contendendo anche il successo nella Liga con l'Atletico che al momento conserva un piccolo vantaggio anche grazie ad una vittoria ed un pareggio negli scontri diretti.
Forse l'unica cosa che avrebbe potuto rendere ancora più mitica la partita sarebbe stato disputarla in Spagna ma, come sappiamo, l'Uefa decide anni prima dove verrà disputata la finale nella partita unica e, quest'anno, è toccato a Lisbona. Sarebbe potuto andare peggio per i tifosi che,credo, affronteranno più che volentieri i 600 km che separano le due città iberiche.
Sarà più forte la motivazione della squadra che vede vicinissimo il primo successo o quella della squadra che ormai da troppi anni non riesce a primeggiare in Europa? Saranno più forti le motivazione dello scatenato Cholo Simeone, alla prima finale importante da allenatore con la possibilità di vincere un trofeo che manca nel suo palmares anche di calciatore o la calma serafica del Carletto nazionale che ha già vinto la Champions due volte da giocatore e due volte da allenatore sempre con il Milan?
Solo 24 giorni e avremo tutte le risposte!
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